sabato 22 dicembre 2012

"LO HOBBIT - UN VIAGGIO INASPETTATO", OPINIONI - PARTE 1

La locandina del film

Buongiorno a tutti (o buonasera, buonanotte, buontramonto... insomma come vi par). A chi scrive sembra doveroso, dopo le premesse esposte in un articolo di qualche settimana fa, esprimere un parere personale, umile e senza nessuna pretesa, sulla pellicola cinematografica de "Lo Hobbit - Un Viaggio Inaspettato" ("The Hobbit - An Unexpected Journey"), la cui regia porta la firma di Peter Jacskon.

E' d'uopo stendere una premessa: dovendo analizzare compiutamente tutti gli aspetti del film, accompagnando detta analisi con il libro di J.R.R. Tolkien, in questo commento saranno presenti molti dettagli tanto dell'uno, quanto dell'altro. Se l'ipotetico lettore non avesse ancora affrontato l'opera del Professore o la trasposizione posta in essere dal regista neozelandese, sarebbe vivamente sconsigliabile procedere nella lettura.
Ciò posto, tuffiamoci nuovamente nei meandri della Terra di Mezzo.

Prima di tutto rispondiamo ex abrupto ad una domanda ipotetica: il film è piaciuto alla bestia che vi sta tediando con le sue ben poco valide elucubrazioni? Decisamente molto, è "un gran bel filmone". Tuttavia si riscontrano alcuni aspetti che, come amante ed appassionato della mitologia e dell'epica tolkeniana, hanno lasciato il sottoscritto quantomeno perplesso (senza ledere la enorme qualità del film medesimo, beninteso).
"Lo Hobbit Annotato"
Traduzione della Società Tolkeniana Italiana
La maestria del grande P.J. si fa notare immediatamente nei primi cinque minuti. Dopo un prologo in cui un Bilbo ormai anziano (mutuato direttamente da "Il Signore degli Anelli") si appresta a scrivere le sue avventure (lascito al giovane nipote Frodo) sul celebre "Libro rosso" proprio il giorno del suo centoundicesimo compleanno, prende avvio un flashback esplicativo. Detto flashback mostra allo spettatore la grandezza e la ricchezza del regno di Erebor e la conseguente venuta dal Nord del Drago Smaug (o Smog) che mette a ferro e fuoco il regno dei nani. Felicissima scelta registica: anche se questa storia viene effettivamente narrata da Thorin stesso nella casa di Bilbo all'inizio del libro, è altrettanto vero che inserirla immediatamente e gettare subito lo spettatore nella avvincente trama è senza alcun dubbio una scelta eccellente (anche per evitare che la successiva scena della riunione dei tredici nani a casa Baggins si protraesse troppo per le lunghe, facendo subire al ritmo della narrazione un eccessivo rallentamento). In particolare vengono sottolineati in modo molto puntuale e fedele sia la brama d'oro (ormai mera follia) impadronitasi di Thror e del suo popolo, che porterà alla rovina della Montagna Solitaria, sia l'esodo successivo del popolo di Durin, abbassatosi, dalla grandezza e dall'opulenza che lo contraddistingueva, all'umile lavoro di un comune fabbro di villaggio. Viene inoltre citata l'Arken gemma (Archepietra nella prima traduzione in italiano del testo, modificata poi appunto in Arkengemma nella nuova traduzione a cura della Società Tolkeniana Italiana), gioiello che rivestirà una importanza fondamentale nello sviluppo tanto del personaggio di Bilbo quanto di quello di Thorin. Non è possibile in questa sede descrivere la bellezza scenografica di questo flashback; chi scrive vi invita a farne tesoro con i vostri occhi per gustarne appieno la spettacolarità.

Peter Jackson
Ecco dunque fare la sua comparsa LO Hobbit. La scena prende avvio con Bilbo stesso, di molti anni più giovane, seduto davanti alla porta di casa; giunge Gandalf (semplicemente un vecchio con un bastone agli occhi del protagonista) e instaura un dialogo con il giovane mezzuomo. Scopo dello stregone è quello di convincere il nostro eroe ad unirsi ad una avventura, cosa di cui Bilbo non vuole nemmeno sentir parlare ("Brutte fastidiose scomode cose! Fanno far tardi a cena! Non riesco a capire cosa ci si trovi di bello!" citazione dal libro). Impressionante e lodevole è, in questo frangente come nel resto del film, la scelta registica di inserire citazioni precise dell'opera tolkeniana. In questo caso si tratta del discorso sul "buongiorno" pronunciato dallo stregone al saluto dello Hobbit: "Mi auguri un buongiorno o vuoi dire che è un buon giorno che mi piaccia o no; o che ti senti buono, quest'oggi; o che è un giorno in cui si deve essere buoni?". Indubbiamente ciò è segno di profonda conoscenza ed attento studio del testo del Professore e può recar solo piacere ad ogni amante di Tolkien. Un punto a favore di Peter Jackson.

Ugualmente ben resa è la successiva "riunione nanesca", con un accento particolarmente attento posto sulle figure quasi caricaturali e macchiettistiche dei nani, ad eccezione di quella di Thorin, le cui regalità e nobiltà sono sottolineate magistralmente dal regista e lo differenziano nettamente dagli altri compagni. In particolare, il rispetto che la sua figura emana risulta palpabile dallo spettatore. Ugualmente piacevole per un qualsiasi amante del libro è la resa della "sparecchiatura" del tavolo della cena, con il passaggio al volo dei piatti da parte dei nani e la conseguente ansia del povero Bilbo, tremendamente disperato in merito alla sorte potenzialmente disastrosa delle sue stoviglie; la cura nella riproduzione di questo frangente, completamente in linea con la descrizione di Tolkien, è encomiabile.
Thorin Scudodiquercia inizia a cantare
Letteralmente magistrale (commovente, è proprio il caso di dirlo) è la scena successiva: il canto dei nani. Il Professore di Oxford lo descrive in questi termini: "un roco canto di nani che sembrava salire dai recessi delle loro antiche case;". Chi scrive ritiene, molto umilmente, che il metodo utilizzato da Jackson e da Howard Shore, autore di una colonna sonora epica e maestosa, per realizzare questo canto sia splendido: la scelta scenografica, la melodia stessa dai toni bassi e profondi come le radici di una montagna, fanno letteralmente accapponare la pelle. Lo spirito del testo prende realmente forma in questo meraviglioso attimo, anelito di storie antiche come le ere del mondo.

Giungiamo ora ad una scena dalla doppia faccia: eccellente dal punto di vista cinematografico ma leggermente meno da quello della fedeltà letteraria. Si tratta del racconto di Balin durante il bivacco, a viaggio già principiato. Viene narrata la vicenda della tentata riconquista di Moria (cronologicamente posta dopo l'arrivo di Smaug ad Erebor) e della battaglia davanti alle porte orientali di Nanosterro. In questa splendida scena possiamo ammirare la strenua lotta tra Thror e Azog l'orco: dopo la decapitazione del re dei nani da parte dello stesso Azog, Thorin si scaglia con violenza contro l'omicida del nonno (Thror è padre di Thráin, padre di Thorin), brandendo l'ascia ed un pezzo di tronco di quercia come scudo (viene così spiegata precisamente l'origine dell'appellativo "Scudodiquercia", in pieno rispetto della stesura tolkeniana) e riuscendo a troncargli l'avambraccio sinistro. In realtà la morte di Thror [secondo l'Appendice B, "Il Calcolo degli anni", in coda a "Il Signore degli Anelli"] risale a nove anni prima della battaglia in questione, nota con il nome di Nanduhirion (anno 2799), ossia nell'anno 2790 della terza era. Inoltre, durante la pugna medesima, Azog viene inseguito e decapitato da Dáin Piediferro, figlio di Náin: "Riuscì ad afferrare Azog prima che varcasse il Cancello e lo uccise. E quella fu considerata una grande prodezza, perchè Dáin per i Nani era appena un adolescente" [cfr. Appendice A, "Annali di Re e Governatori", in coda a "Il Signore degli Anelli"]. La scelta di Jacskon di stravolgere in tal guisa l'opera tolkeniana, "ripescando" la figura di Azog (non necessaria nè utile ai fini dello svolgimento della trama cinematografica) e mescolandola nell'alchimia, può essere decisamente contestabile, anche per un motivo che verrà ricordato più avanti.

I tre troll: Berto, Maso e Guglielmo
La scena dei tre troll è invece resa con grande abilità. I dialoghi sono azzeccati appieno e l'ottusità e l'insita malvagità delle tre creature sono trasposte molto fedelmente. Tuttavia, una unica scelta del regista potrebbe suscitare qualche perplessità: nel film Bilbo, discutendo (impacciatamente e grottescamente) con i tre troll Berto, Maso e Guglielmo su quale fosse il miglior modo per cucinare i malcapitati nani, riesce a guadagnare tempo e a fare in modo che l'alba sorprenda le tre bestie, tramutandole in pietra. In realtà, nel testo, l'ingengno di Tolkien aveva escogitato un espediente più sottile. E' Gandalf stesso che, imitando abilmente le voci dei troll, riesce a farli alterare e litigare l'uno con l'altro fino al momento fatidico: "L'alba vi prenda tutti e sia di pietra per voi!". Nonostante la scena funzioni a meraviglia, non è chiaro il motivo per cui Jackson abbia dovuto modificarla dalla "matrice" originale (decisamente più particolare, come già ricordato). Viene poi riportato molto puntualmente il ritrovamento di Orcrist ("Fendiorchi", spada di Thorin) e Glamdring ("Battinemici", spada di Gandalf), opera degli scomparsi fabbri elfici di Gondolin, antica città tra le montagne delle prime ere del mondo, caduta alla fine della seconda era; il design delle lame è sinuoso ed elegante, "elficamente" regale.

Radagast Il Bruno
Si giunge ora ad una serie di scene assenti nel libro ma molto utili al fine di mostrare allo spettatore che non possedesse una conoscenza approfondita dell'epica tolkeniana l'histoire événementielle che si pone come sfondo agli avvenimenti narrati, conferma ulteriore di una sottile intelligenza registica. Mediante l'abile utilizzo della figura di Radagast il Bruno (forse un po' troppo comica rispetto all'immagine delineata da Tolkien ma egualmente di spessore), mago della natura e amante più di ciò che cresce che di ciò che si crea con mano, il regista narra allo spettatore la rovina del Bosco Atro e l'insediamento di un grande male nella fortezza di Dol Guldur: il Negromante (che altri non è se non Sauron in persona). Radagast infatti "visse un tempo a Rhosgobel, vicino ai confini del Bosco Atro." (cfr il discorso di Gandalf ne "La Compagnia dell'Anello", Libro II, Capitolo II, "Il Consiglio di Elrond"). In verità la reale cronologia degli eventi viene di nuovo lievemente stravolta: la rovina del Bosco Atro trova origine molto prima del viaggio dei tredici nani e Gandalf stesso si reca a Dol Guldur, dove trova Thráin da cui riceve la chiave e la mappa di Erebor, nel 2850, ossia novantun'anni prima della partenza di Thorin e compagni (2941, terza era). Nonostante questa "compressione temporale", l'idea di Jackson di inserire la storia dello Hobbit in un panorama molto più ampio (filosofia da lui stesso espressa, precisata e contestualizzata durante un'intervista), offrendone di volta in volta un pezzetto allo spettatore, funziona perfettamente anche se non rispecchia per nulla nè l'intento originale del Professore nè l'essenza del libro stesso che, come già ricordato, si avvale di una scelta linguistica e lessicale di certo non elevata nonchè di una trama molto semplice e fiabesca, tanto da venir definito da W.H. Auden "la più bella storia per bambini degli ultimi cinquant'anni".

Elrond osserva la mappa
Splendida è la parte successiva, che trova ambientazione presso Forra Spaccata (o Gran Burrone). Dopo una rocambolesca fuga da branchi di famelici lupi sotto il comando di Azog e grazie al diversivo fornito da Radagast (intermezzo partorito dalla mente del regista, non certo da quella di Tolkien), la compagnia si affaccia su Rivendell (nome originale di Gran Burrone), con uno scorcio mozzafiato. In questo frangente viene evidenziato l'astio tra le due stirpi, elfica e nanica (ricordato anche ad inizio pellicola, nel momento in cui il re elfico Thranduil rifiuta di fornire il suo aiuto agli abitanti della Montagna Solitaria, attaccati dal drago); questo sentimento è lievemente esasperato ed inasprito rispetto alla descrizione che ne fa il Professore nel libro. Vi è sì un profondo disprezzo ed una sospettosa diffidenza tra nani ed elfi ma nel film tutto ciò si tramuta addirittura in un odio endemico, decisamente più violento e dirompente di quanto descritto nel testo. In questo frangente Elrond spiega a Thorin il significato delle parole vergate sulla mappa raffigurante Erebor e palesa le rune lunari (intarsi d'Ithildin, visibili solo alla luce appunto della luna). La scena appena citata è realizzata meravigliosamente: uno sperone roccioso sotto una cascata, sulla cui punta è incastonato un unico blocco di vetro cristallino, sul quale viene poggiata la mappa. Nel momento in cui l'astro della notte fa capolino dalle nubi, la sua luce colpisce il vetro e proietta un fascio bianco e lucente perpendicolare al terreno, illuminando di un candore abbagliante tanto i volti dei protagonisti quanto le rune argentate. Questo è uno dei molteplici casi in cui si palesano l'abilità e la maestria di Peter Jackson nel creare scorci incantatevoli, quasi magici, che portano realmente in vita il mistero e la bellezza della Terra di Mezzo immaginata dall'immenso Professore di Oxford.
In modo da non suscitare ulteriore tedio nel già, temo, scombussolato ed annoiato lettore, chi scrive preferisce chiudere qui una prima parte di questo "articolo opinionistico".
Seguirà, ovviamente, una seconda.

(La seconda parte trovasi qui)

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