sabato 29 dicembre 2012

TWILIGHT SAGA...... ESATTAMENTE, PERCHE'? - PARTE 4 (I)


Buongiorno (o buonasera) mio caro lettore e benvenuto alla quarta parte di cotanta horrida mors letteraria et cinematografica.
La copertina del "libro"
Vorrei anzitutto esporre una premessa. Ho deciso di seguire la suddivisione cinematografica piuttosto che quella letteraria (quindi di commentare separatamente le due parti del "film" "Breaking Dawn" piuttosto che stendere un singolo commento sul cartaceo imbrattamento dal titolo omonimo) per un semplice motivo: il livello di idiozia e stupidità raggiunge vette talmente elevate da non poter essere condensato in un singolo "articolo", per il bene psico-fisico dei miei venticinque lettori, come diceva Manzoni (anche se non ho di certo la presunzione di paragonarmi a tanta maestria). Penso non sia così necessario sottolineare l'astuta manovra economica in questione: girare due pellicole per intascare il doppio del guadagno dalle ragazzine fanatiche ed assatanate. Qui un ipotetico interlocutore potrebbe sollevare un'obiezione di questo genere: "Eh dai però hanno fatto così anche con l'ultimo libro di Harry Potter".....verissimo, peccato che vi sia una piccola differenza: Harry Potter, pur non essendo una saga epica e nemmeno un esempio di alta letteratura, è interessante, vario, originale ed avvincente; ciò per cui, invece, chi scrive sta perdendo appetito e slancio sessuale rappresenta l'apoteosi della noia e dell'inutilità.

Reazione di chiunque alle dichiarazioni della Meyer
Prima di tutto è d'uopo sottolineare un fatto. La creatrice di questa "opera" (Stephenie Meyer) ha espressamente dichiarato di essersi ispirata, per la stesura del "libro secondo" presente all'interno del testo, a "Sogno di una notte di mezza estate" e a "Il Mercante di Venezia" di William Shakespeare. Ora, non credo sia il caso di ripescare la vetusta ed inflazionata espressione "Si sta rivoltando nella tomba", anche perchè penso che non sia adeguata alla situazione presente. Sono convinto che la tomba l'abbia sfondata con veemenza! Non bastava aver violentato millenni della più alta letteratura nooo.....bisognava pure tirare in ballo una personalità specifica! Lascio al lettore la spiegazione del parallelismo tra "Twilight" e "Il Mercante di Venezia" (sto per avere un arresto cardiaco; che paragone tremendo); la mia limitatissima intelligenza non riesce a coglierla.

Ordunque torniamo a noi.
Cercherò di condensare nel modo più rapido ed indolore possibile la prima parte, apogeo della noia più mortale mai provata da essere umano.
Tutto ha inizio in una giornata piovosa (come già detto, non si capisce tanto il motivo per il quale i momenti più "intensi" di questi obbrobri avvengano mentre diluvia quanto la drammatica mancanza di ombrelli nella cittadina di Forks); il buon Giacobbe, ricevuto l'invito alle nozze tra Edoardo ed Isabella, viene invaso da una rabbia dilagante e, gettando in terra la maglietta e mostrando i pettorali (facendo bagnare le cosiddette "fallo-marmocchie", perdonate il volgarismo), scappa uuuuuululando nella foresta. Utilità dell'interludio? Pari a quella di un frassino in uno sgabuzzino.
Fervono i preparativi per il matrimonio dei nostri due imbecil...EROI e la nostra Bella, dopo aver rischiato, con estrema disinvolutra, di slogarsi una caviglia (grazie ad un paio di tacchi alti mezzo metro), va a casa ad impacchettare i suoi averi e a godere d'un sonno ristoratore pre-matrimoniale. Nella di lei camera, Edward le confessa di essersi ribellato a Carlisle pochi anni dopo la sua trasformazione e di essersi messo a mordere quanti più umani possibile (tutti assassini e mostri a detta sua.....oddio non che lui potesse essere considerato un tenero micetto candido, cosa da lui stesso ammessa). Bella tuttavia non si scoraggia e decide di perpetrare il suo intento di venir "vapirizzata" dopo lo sposalizio. La notte stessa tuttavia sogna qualcosa di agghiacciante: stare in piedi con il suo sbrilluccicantoso fidanzato sulla cima di una pila di sanguinanti cadaveri (di amici, conoscenti e parenti); presagio estremamente positivo, non c'è che dire.
Quando si dice "una sposa felice"
Ha inizio il matrimonio. Bella, prima di venire accompagnata dal padre all'altare, lo prega di "non farla cadere"...mi chiedo che razza di richiesta sia questa; perchè mai la dovrebbe far cadere? Non è lui il tirannosauro impedito con ai piedi un tacco ottocentoventisette. Tuttavia credo che chiunque avrebbe avuto la fortissima tentazione di farle uno sgambetto, giusto per levarsi una soddisfazione. Pensate tuttavia qual dramma avrebbe potuto scatenare: la nostra sarebbe caduta rompendosi l'osso del collo e la storia non avrebbe avuto alcun proseguimento. No, una tale eventualità sarebbe stata decisamente troppo amara per venir contemplata. Dopo un avvicendamento di interessantissime e coinvolgenti scene quali lo scambio delle promesse matrimoniali, le danze, i discorsi di alcuni invitati (tra cui una ninna nanna cantata dalla genitrice della nostra, che vorrebbe rappresentare una poetica reminescenza dell'amore di una madre mentre in realtà risulta soltanto un patetico e mal riuscito espediente), ecco fare la sua comparsa il nostro amico lupululà. Giunge, dalla foresta vicina e con indosso una camicia (incredibile ma vero), per porgere i suoi auguri a Bella. Tuttavia si altera tremendamente per la decisione della nostra di avere un rapporto intimo con il marito prima di venir "vapirizzata" (rischiando quindi di venir uccisa, come se di rischio si potesse parlare; sarebbe più un augurio in verità). Questo povero ragazzo parte sempre con le migliori intenzioni ma si innervosisce, più o meno subitaneamente, come una iena, pur essendo lupo.....sacripante che macello.

La cerimonia giunge alla conclusione e la coppia si reca in luna di miele a Villa Esme, davanti a Rio De Janeiro, Brasile. Scelta eccellente: considerato il "glitterato" inconveniente del nostro amico, scegliere una località in cui il sole spacca le pietre tutto l'anno e la temperatura all'ombra fa ansimare un cammello mi sembra sintomo di un sottilissimo ragionamento. Nonostante i due non si facciano vedere da nessuno e restino in casa il più possibile, la scelta resta esilarante. Andare a Londra sarebbe stato troppo complesso? Ovviamente sì, decisamente poco poetico (anche se immischiare la poesia in questo scempio è motivo d'ulcera gastrica).
Finalmente, dopo anni di attesa, la nostra amica riesce ad elargire la sua virtù al marito nonostante questi, trascinato dalla passione, sfondi muri con i pugni, squarci coperte, disfi mobili e causi lividi violacei alla
moglie.....quando si dice una controparte focosa! In questo frangente, all'insegna della noia più totale, si passa da scene di vita quotidiana, corse nei campi e partite a scacchi (anche se penso che la sottile intelligenza della nostra eroina le permetta a malapena di distinguere i pezzi da quelli della dama) al dramma della coppia, sempre che di dramma si possa parlare: la decisione di Edoardo di non saltare continuamente addosso alla moglie onde evitare di trasformarla in un ammasso di carne semovente, lividi e ossa rotte...un pensiero carino non c'è che dire.
In un utilissimo interludio assistiamo ad una confusionaria ed inconcludente discussione tra Giacobbe e i suoi ululanti amici, vertente su temi come lo "stampino" (vedasi Parte 3) e il maschio alfa del branco....affascinante. In realtà nel libro questi aspetti vengono sottolineati in modo più puntuale; l'idiozia resta ma almeno è un'idiozia contestualizzata, guardiamo il lato positivo. Il dettaglio riguardante il "maschio alfa" ha in verità una precisa controparte biologica e naturale (intendasi nei veri branchi di lupi) ma non è nè il momento nè la sede più adatta per ricordarla. [Maggiori informazioni qui]
Ecco però accadere l'impensabile: Isabella improvvisamente soffre di nausea, continui conati di vomito ed in più è in ritardo con il ciclo mestruale. Anche se non sarebbe stato possibile (a detta di Carlisle stesso), la nostra è incinta di Edoardo. Bel patatrac, come si suol dire.
I due tornano di corsa a Forks e la nostra soffre intensamente. La creatura intanto cresce sempre di più e sempre più velocemente. In poche settimane raggiunge dimensioni uguali a quelle di una gestazione di nove mesi....evidentemente Bella dovrà partorire un coniglio.

Stephenie Meyer,
creatrice (non "autrice": il termine
"autore" si usa in merito agli scrittori)
 di questo scempio
Il feto (bambino, neobestiaschifosa insomma chiamatelo come vi pare) intanto mina sempre più la salute di Bella; Edward chiede a lupululà di convincerla ad abortire (presumo, non è che sia chiaro...oddio in questo marasma non c'è assolutamente nulla di chiaro) ma lei non ne vuole sapere. Giacobbe quindi, preso dall'ira e dal dolore (di nuovo....fatti dare un'occhiata figlio mio: un lupo schizofrenico non si vede tutti i giorni), chiama a raccolta i suoi simili: viene deciso di uccidere il nascituro (o la nascitura) ma il nostro si rifiuta di aderire a questa decisione e, dopo aver ben ringhiato e sguainato denti, si reca a proteggere i Cullen (seguito subitaneamente da due colleghi: Seth e Leah, Inshallah....no quello non c'entra chiedo venia).
Intanto la famiglia vampirella cerca di capire come salvare la vita a Bella meditando d'araldica e d'antiche tradizioni: molto utile, di certo più della medicina.
Il bambino/a intanto fa quasi morire di fame la sciagurata madre, impedendole di nutrirsi....sì ne sono conscio, succedono migliaia di cose insulse nello stesso momento ma non posso farci nulla! Non è di certo colpa del sottoscritto se quel genio artistico che è Stephenie Meyer ha partorito degli arzigogoli sì maldestri ed inconcludenti.
Bella allo stesso tempo assomiglia sempre di più "al Biafra" come si suol dire dialettalmente.

Preparatevi ora per uno degli aspetti allo stesso tempo più agghiaccianti ed esilaranti (per l'imbecillità della trovata in sè) di tutta la "saga": dato che il/la nascituro/a ha un desiderio di sangue sempre più violento, i geniali protagonisti qual elevato espediente escogitano? Fanno bere ad Isabella del sangue umano in un bicchiere (stile Coca Cola del McDonald's)! Siore e siori ecco a voi il nuovissimo sistema per il recupero di liquidi e calorie perdute in gravidanza, consigliato da ostetrici e ginecologi. Lascio a voi i commenti in tal senso....a me sorgono spontanee solo ingiurie.
Il ritratto della salute
Nel frattempo il buon Edo riesce a sente il/la bambino/a nel ventre della moglie: percepisce in particolare il di lei amore per i genitori e per le loro voci. "Ciao mamma; ti sto uccidendo e rendendo uno scheletro ambulante ma ti voglio tanto bene", giusto per essere nitidi. Al di là della poesia idiota ormai consueta, scopriamo un nuovo interessantissimo potere del nostro eroe: egli è nientepopodimeno che un ecografo umano! Utilissimo, senza dubbio.
Profondo e struggente è ora il momento della scelta del nome del bambino: Edward o Jacob se maschio e Renésme se femmina, crasi di Renè ed Esme, nomi delle madri degli sposi; meravigliosa scelta, sarebbe come dire Giovanldegonda...qual grazia, questa creatura è già segnata ancor prima di nascere.
Ecco giungere il momento fatidico: la nostra eroina sta per partorire (dopo essersi spezzata la schiena, non si capisce bene perchè). Dopo che al già di per sè nauseato spettatore vengono mostrati fiumi (inutili) di sangue, il nostro tiene tra le mani la figlia neonata (sì, quell'affare dovrebbe essere una bambina) e subito dopo principia a mordere Bella dovunque per riuscire a trasformarla prima della morte. Purtroppo (anzi, per meglio dire, fortunatamente) però la nostra passa a miglior vita. Intanto lupululà, pur avendo in animo di eliminare la neonata (realizzata, nella trasposizione cinematografica, con l'ausilio di una computer-grafica a dir poco orripilante....prendere una bambina vera sarebbe stato troppo semplice e troppo poco costoso), incrocia il di lei sguardo e meraviglia! Ha lo "stampino" (vedasi Parte 3) con lei; per usare una perifrasi efficace: "si innamora della neonata come un ciccione si innamora di una torta appena sfornata" (cit. Marco Consonni). Il lupesco branco quindi, nel rispetto delle antiche leggi, non può toccare nè lei nè i Cullen.
Nell'ultima scena tutti sono affranti dalla morte di Isabella (tutti meno chiunque abbia a cuore la propria salute psico-fisica ed il proprio appetito) ma ecco che accade ciò che tutti abbiamo temuto: la nostra amica riprende colore e, rigonfiandosi come un copertone dal gommista, apre gli occhi.....diventati rossi. Qui termina la trasposizione cinematografica dal titolo "Breaking Dawn - Parte 1" 
Purtroppo la fine di cotanta nauseante violenza alla letteratura ed al cinema è ancora ben lungi.
A presto con la parte 4, chiosa finale, grazie al cielo, di questa boiata.

lunedì 24 dicembre 2012

"LO HOBBIT - UN VIAGGIO INASPETTATO", OPINIONI - PARTE 2


Riprendiamo ordunque la stesura del "papiro d'opinioni" sul film "Lo Hobbit - Un Viaggio Inaspettato" ("The Hobbit - An Unexpected Journey"). Se il lettore non avesse letto la prima parte, questa può essere recuperata qui.

La scena del "Bianco Consiglio"
Dopo la splendida scena in cui Elrond Mezzelfo districa ogni dubbio riguardo alla mappa in possesso di Thorin e dopo aver mostrato allo spettatore l'origine delle lame rinvenute da Gandalf e compagni nell'antro dei troll, si passa ad un evento dalla doppia faccia. Trattasi di una riunione tra Gandalf, Elrond, Dama Galadriel e Saruman il Bianco. Durante questo incontro vengono discussi diversi avvenimenti. I membri riflettono sull'insediamento del male a Dol Guldur, sulla conseguente decadenza del Bosco Atro e sul ritrovamento di un pugnale Morgul, testimone di malvagità ed oscuro potere, da parte di Radagast il Bruno, sbeffeggiato aspramente da Saruman, ricalcando simmetricamente l'atteggiamento assunto dallo stregone alla presenza di Gandalf all'inizio de "La Compagnia dell'Anello" ("Radagast il Bruno!", rise Saruman, senza più celare il suo disprezzo. "Radagast il Domatore d'uccelli! Radagast il Semplice! Radagast lo Sciocco! Eppur gli è bastata quel po' di intelligenza per recitare la parte che gli ho affidata." - cfr. "La Compagnia dell'Anello", Libro II, Capitolo II, "Il Consiglio di Elrond").
Galadriel, Dama della Luce
("Galad" in elfico significa appunto "luce")
Scenograficamente parlando non vi è nulla da eccepire, anzi è d'uopo lodare la sconfinata maestria di Peter Jackson: colori azzeccatissimi, musica avvolgente, scenografia stessa splendida ed elficamente affascinante ma soprattutto una Galadriel (interpretata da una bravissima Cate Blanchett) splendida, ammantata di un candore e di una bellezza da mozzare il fiato, allo stesso tempo mite e tumultuosa, misteriosa e meravigliosa come solo una Dama degli elfi immaginata da Tolkien può essere.
Tuttavia la cronologia degli eventi partorita dalla altissima mente del Professore di Oxford viene nuovamente modificata.
Questo frangente altro non è se non una seduta del "Bianco Consiglio", organismo formato dalle massime personalità della casata elfica e dagli Istàri, ossia i cinque stregoni giunti dall'Ovest circa mille anni dopo la fine della seconda era che termina nell'anno 3441 con la sconfitta di Sauron da parte di Elendil, Isildur e Gil-galad (cfr. Appendice B, "Il Calcolo degli anni" in coda a "Il Signore degli Anelli").
In realtà la scoperta dell'identità del Negromante di Dol Guldur (Sauron in persona) avviene novantun'anni prima (2850, terza era) del viaggio di Bilbo con i tredici nani (2941, terza era) ed è Gandalf stesso, recandosi nella fortezza di Bosco Atro e ricevendo colà da Thráin la mappa e la chiave di Erebor, a smascherare l'Oscuro Signore. L'interpretazione del regista neozelandese, pur non rispettando appieno l'epica tolkeniana, funziona ottimamente. Molto ben reso, in particolare, è lo scetticismo di Saruman, il quale non vuol credere che il temuto grande male si sia effettivamente ridestato nella Terra di Mezzo. Se si va a spulciare la cronologia de "Il Signore degli Anelli", si può notare come il Capo dell'ordine degli Stregoni abbia rifiutato di attaccare Dol Guldur fin dalla prima convocazione del Bianco Consiglio (2851, terza era) salvo poi cedere alle pressioni di Gandalf e acconsentire, nell'anno 2941 della Terza Era. La spiegazione di questo comportamento può essere rintracciata sempre nella cronologia di cui sopra. Nella nota (a piè di pagina) dell'anno 2851 della terza era si può leggere: "Più tardi si comprese che Saruman incominciò a desiderare proprio allora di possedere per sè l'Unico Anello; egli sperava che il potere dell'Anello si sarebbe rivelato da sè, quasi cercando il suo padrone, se Sauron fosse stato lasciato in pace per qualche tempo". Nella descrizione dello stesso anno invece si legge: "Saruman incomincia a compiere ricerche in prossimità di Campo Gaggiolo" (dove Isildur era stato ucciso dagli orchi dopo la sconfitta di Sauron e dove aveva perduto l'Anello). Ancora, la nota dell'anno 2939 recita: "Saruman scopre che i servitori di Sauron stanno ispezionando l'Anduin nei pressi di Campo Gaggiolo e che Sauron è quindi al corrente della fine di Isildur. E' preoccupato ma non dice nulla al consiglio". Infine, all'anno 2941 della terza era trovasi scritto: [...] Saruman acconsente all'attacco contro Dol Guldur, poichè ora vuole impedire a Sauron di cercare nel Fiume" (per tutto il materiale appena citato cfr. Appendice B, "Il Calcolo degli anni" in coda a "Il Signore degli Anelli"). Si può quindi ben motivare l'atteggiamento del futuro traditore durante lo scambio di vedute a Imladris. Voglia il lettore perdonare la lunghezza di questo punto ma i dettagli ricordati non potevano non venir citati, al fine di contestualizzare puntualmente la
scelta registica.

Dopo un dialogo tra Gandalf e Galadriel (invenzione Jacksoniana), la compagnia dei tredici nani e Bilbo partono alla volta delle montagne, senza Gandalf (che nel libro invece li accompagna immediatamente e non appare magicamente in seguito per salvarli, come invece accade nella trasposizione cinematografica).
I giganti di pietra delle Montagne Nebbiose
Reso splendidamente è, a questo punto, l'erto ed arduo passaggio sulle vette delle Montagne Nebbiose e il "palleggio di macigni" tra i giganti di pietra: sequenza molto spettacolare e coreografica (descritta tuttavia da Tolkien in modo molto meno "esplosivo" e rocambolesco).
Si giunge ora ad un punto cardine tanto del film quanto di tutta l'epica tolkeniana. Durante una sosta all'interno di una grotta, Bilbo (che, pur avendo in animo di andarsene, viene dissuaso dagli eventi scatenatisi; frangente, questo, partorito dalla mente del regista) e i tredici nani vengono catturati dai Goblin e condotti al cospetto del loro re. Durante la marcia lo hobbit, lottando con un goblin, precipita in un burrone e viene separato dai nani (in realtà nel libro ciò avviene in un tunnel dopo la fuga dal cospetto del re di queste creature e la decollazione dello stesso da parte di Gandalf, abilmente celatosi al momento della cattura dei compagni).

Il nostro eroe, ridestatosi in una macchia di funghi umidi e mollicci, vede chi? Nientemeno che Gollum il quale, trascinando il goblin caduto nel crepaccio con Bilbo, perde un anello; nel testo, in verità, il figlio di Belladonnna Tuc rinviene l'Anello al buio mentre tasta il terreno cercando di orientarsi dopo essere stato separato da Thorin e soci e ben prima dell'incontro con Smeagol.
L'incontro tra Gollum e Bilbo
Resa invece perfettamente (non si può utilizzare altro termine) è la gara di indovinelli che segue, con un parallelismo puntualissimo (anche negli indovinelli stessi) tra libro e film. Il dualismo di Gollum è sottolineato con una cura impressionante, così come l'ansia del povero Bilbo. Lo stesso dicasi per la successiva fuga a rotta di collo del terrorizzato hobbit e la rottura dei bottoni del panciotto in un'intercapedine tra le rocce (esatta citazione dell'opera di Tolkien anche se nella pellicola viene anticipata di qualche momento rispetto a quanto scritto nel libro). Ugualmente ben realizzata è la scoperta, da parte del nostro eroe, dei poteri dell'Anello e della furia folle ed incontrollata di Gollum, causata dalla perdita "del suo Tesoro". Troviamo ora una scena molto commovente. Poco prima dell'uscita dalle gallerie, Bilbo vede il suo cammino verso la libertà ostacolato da Gollum stesso. Estrae la spada e, poco prima vibrare con disprezzo il feral colpo alla creatura, incrocia il suo sguardo. 

"Doveva combattere. Doveva pugnalare quel pazzo, cavargli gli occhi, ucciderlo. Voleva ucciderlo. No, non era un combattimento leale. Egli era invisibile adesso. Gollum non aveva una spada. Gollum non aveva ancora realmente minacciato di ucciderlo, o cercato di farlo. Ed era infelice, solo e perduto. Un'improvvisa comprensione, una pietà mista a orrore, sgorgò nel cuore di Bilbo: rapida come un baleno gli si levò davanti la visione di infiniti, identici giorni, senza una luce o una speranza di miglioramento: pietra dura, pesce freddo, strisiciare e sussurrare. Tutti questi pensieri gli passarono davanti in una frazione di secondo. Egli tremò." (cfr. "Lo Hobbit", capitolo V, "Indovinelli nell'oscurità").

La medesima meravigliosa poesia posta in essere dalla maestria del Professore trova qui una davvero commovente (perdoni il lettore la ripetizione ma altro lemma non renderebbe egual giustizia) realizzazione grazie allo intensissimo scambio di sguardi tra il protagonista e Gollum (grandissima abilità viene palesata sia da parte di Martin Freeman che da parte di Andy Serkis, con l'ausilio di un impressionante lavoro in computer grafica). Gli occhi dello spettatore non possono che inumidirsi davanti a tanta grazia. Nitido torna alla mente il discorso di Gandalf a Frodo dentro Moria durante "La Compagnia dell'Anello": "Peccato? E' stata la pena che gli ha fermato la mano. Molti di quelli che vivono meritano la morte e molti di quelli che muoiono meritano la vita. [...] Il mio cuore mi dice che Gollum ha ancora una parte da recitare, nel bene o nel male, prima che la storia finisca. La pietà di Bilbo può decidere il destino di molti" (cit. dal film "La Compagnia dell'Anello").

Thorin Scudodiquercia, poco prima di scagliarsi su Azog
Dopo la fuga dei nani dai tunnel (molto coreografica e spettacolare), l'elusione di Smeagol da parte di Bilbo ed un monologo di quest'ultimo sul valore della casa e del "ritorno all'ovile" (toccante seppur breve), lo spettatore ammira la scena finale, anche questa dalla duplice facciata. I nani, lo stregone e Bilbo, inseguiti da lupi ed orchi, si arrampicano su alcuni alberi. Nonostante sia di grande impatto scenico (effetti grafici ottimi e scelte scenografiche accattivanti ed adrenaliniche), la decisione di Peter Jackson di inserire nuovamente l'orco Azog (vedasi Parte I) e di far scagliare con odio e violenza Thorin (con una memorabile inquadratura del re dei nani all'attacco attraverso un corridoio di fiamme con Orcrist sguainata ed un urlo poderoso) contro lo stesso, risulta quantomeno azzardata. Inoltre lo stesso hobbit, vedendo il capo della compagnia in evidente pericolo di vita, cercando di salvarlo si scaglia con foga contro Azog stesso (in linea con un ipotetico rinvigorimento della "parte tucchica", più volte ricordata da Tolkien, del suo tranquillo animo di abitante della Contea), fatti entrambi completamente assenti nel testo. L'odio di Thorin all'indirizzo del malvagio orco è palpabile ma proprio qui sta il secondo motivo di dubbio, in merito all'utilizzo di questo personaggio, da parte di chi scrive (si veda di nuovo la Parte I): Tolkien pone sì un deciso accento sull'odio del figlio di Thráin ma detto odio (endemico, viscerale e terribile) è indirizzato non ad Azog bensì al drago Smaug. La scelta del regista di modificare a tal punto questo aspetto cardine de "Lo Hobbit" per trasferirlo invece su una figura circostanziata dal Professore in un ambito molto diverso e legata al testo in modo non così marcato, è, nonstante sia perfetta ai fini della mera realizzazione cinematografica, molto strana (e decisamente fastidiosa per un qualsiasi amante dei libri di Tolkien).
La mappa di Thorin

I nani, Gandalf e lo hobbit vengono infine salvati dalle Aquile delle Montagne Nebbiose e depositati sulla cima di una roccia a forma di testa d'orso (presumibilmente la Carroccia stessa); Thorin abbraccia Bilbo ringraziandolo per il coraggio dimostrato e rimangiandosi tutti i suoi precedenti dubbi circa l'adesione di costui alla spedizione. In verità, nel libro, i nani cambiano radicalmente la loro opinione sul povero hobbit, trattandolo con rispetto e nobiltà, ben più avanti (dopo gli eventi di Bosco Atro).

Nell'ultima scena del film i tredici viaggiatori, Gandalf e lo hobbit, dall'alto della rupe, spaziano lo sguardo su una immensa foresta e scorgono in lontananza l'eterea sagoma di Erebor, meta del loro viaggio.

Howard Shore
Tirando le somme, che dire? "Lo Hobbit - Un viaggio inaspettato" è un bellissimo film, ben diretto e ben recitato, spettacolare, comico, drammatico ed epico allo stesso tempo, testimone della grande maestria del buon PJ anche se qualche interpretazione molto libera, seppur figlia della "filosofia" citata nella prima parte, potrebbe far storcere il naso ai cultori più sinceri dell'opera omnia di J.R.R. Tolkien (tra i quali si pone anche il redattore di questo pezzo). Se proprio si vuol trovare una lieve pecca, alcune scene, mediante la scelta di montaggio posta in essere, sono state forse "troncate" un po' troppo rapidamente, proprio nel momento di maggior pathos (si ringrazia Chiara Mariani per aver portato questo dettaglio all'attenzione di chi scrive). Menzione d'onore merita senza dubbio alcuno la entusiasmante colonna sonora, composta e diretta da Howard Shore: epica, maestosa ed imponente in alcuni frangenti, dolce, lieve ed aggraziata in altri, capace di sottolineare con colore più che adeguato ogni momento del film.
Concludendo, chi vi scrive vuole nuovamente sottolineare che quanto espresso finora rappresenta solo una serie di opinioni umili e personalissime; non ha nessuna pretesa di essere considerato qualcosa di più elevato. Perdoni nuovamente il lettore la lunghezza e la tediosità dell'"articolo".
La curiosità ed il desiderio di ammirare le altre due pellicole si fanno sempre più pressanti; tutti attendiamo con ansia il seguito.
Peter Jackson non ha ancora terminato il suo lavoro; la magia ed il fascino della Terra di Mezzo, per fortuna, avvolgeranno ancora il grande ed il piccolo schermo.

sabato 22 dicembre 2012

"LO HOBBIT - UN VIAGGIO INASPETTATO", OPINIONI - PARTE 1

La locandina del film

Buongiorno a tutti (o buonasera, buonanotte, buontramonto... insomma come vi par). A chi scrive sembra doveroso, dopo le premesse esposte in un articolo di qualche settimana fa, esprimere un parere personale, umile e senza nessuna pretesa, sulla pellicola cinematografica de "Lo Hobbit - Un Viaggio Inaspettato" ("The Hobbit - An Unexpected Journey"), la cui regia porta la firma di Peter Jacskon.

E' d'uopo stendere una premessa: dovendo analizzare compiutamente tutti gli aspetti del film, accompagnando detta analisi con il libro di J.R.R. Tolkien, in questo commento saranno presenti molti dettagli tanto dell'uno, quanto dell'altro. Se l'ipotetico lettore non avesse ancora affrontato l'opera del Professore o la trasposizione posta in essere dal regista neozelandese, sarebbe vivamente sconsigliabile procedere nella lettura.
Ciò posto, tuffiamoci nuovamente nei meandri della Terra di Mezzo.

Prima di tutto rispondiamo ex abrupto ad una domanda ipotetica: il film è piaciuto alla bestia che vi sta tediando con le sue ben poco valide elucubrazioni? Decisamente molto, è "un gran bel filmone". Tuttavia si riscontrano alcuni aspetti che, come amante ed appassionato della mitologia e dell'epica tolkeniana, hanno lasciato il sottoscritto quantomeno perplesso (senza ledere la enorme qualità del film medesimo, beninteso).
"Lo Hobbit Annotato"
Traduzione della Società Tolkeniana Italiana
La maestria del grande P.J. si fa notare immediatamente nei primi cinque minuti. Dopo un prologo in cui un Bilbo ormai anziano (mutuato direttamente da "Il Signore degli Anelli") si appresta a scrivere le sue avventure (lascito al giovane nipote Frodo) sul celebre "Libro rosso" proprio il giorno del suo centoundicesimo compleanno, prende avvio un flashback esplicativo. Detto flashback mostra allo spettatore la grandezza e la ricchezza del regno di Erebor e la conseguente venuta dal Nord del Drago Smaug (o Smog) che mette a ferro e fuoco il regno dei nani. Felicissima scelta registica: anche se questa storia viene effettivamente narrata da Thorin stesso nella casa di Bilbo all'inizio del libro, è altrettanto vero che inserirla immediatamente e gettare subito lo spettatore nella avvincente trama è senza alcun dubbio una scelta eccellente (anche per evitare che la successiva scena della riunione dei tredici nani a casa Baggins si protraesse troppo per le lunghe, facendo subire al ritmo della narrazione un eccessivo rallentamento). In particolare vengono sottolineati in modo molto puntuale e fedele sia la brama d'oro (ormai mera follia) impadronitasi di Thror e del suo popolo, che porterà alla rovina della Montagna Solitaria, sia l'esodo successivo del popolo di Durin, abbassatosi, dalla grandezza e dall'opulenza che lo contraddistingueva, all'umile lavoro di un comune fabbro di villaggio. Viene inoltre citata l'Arken gemma (Archepietra nella prima traduzione in italiano del testo, modificata poi appunto in Arkengemma nella nuova traduzione a cura della Società Tolkeniana Italiana), gioiello che rivestirà una importanza fondamentale nello sviluppo tanto del personaggio di Bilbo quanto di quello di Thorin. Non è possibile in questa sede descrivere la bellezza scenografica di questo flashback; chi scrive vi invita a farne tesoro con i vostri occhi per gustarne appieno la spettacolarità.

Peter Jackson
Ecco dunque fare la sua comparsa LO Hobbit. La scena prende avvio con Bilbo stesso, di molti anni più giovane, seduto davanti alla porta di casa; giunge Gandalf (semplicemente un vecchio con un bastone agli occhi del protagonista) e instaura un dialogo con il giovane mezzuomo. Scopo dello stregone è quello di convincere il nostro eroe ad unirsi ad una avventura, cosa di cui Bilbo non vuole nemmeno sentir parlare ("Brutte fastidiose scomode cose! Fanno far tardi a cena! Non riesco a capire cosa ci si trovi di bello!" citazione dal libro). Impressionante e lodevole è, in questo frangente come nel resto del film, la scelta registica di inserire citazioni precise dell'opera tolkeniana. In questo caso si tratta del discorso sul "buongiorno" pronunciato dallo stregone al saluto dello Hobbit: "Mi auguri un buongiorno o vuoi dire che è un buon giorno che mi piaccia o no; o che ti senti buono, quest'oggi; o che è un giorno in cui si deve essere buoni?". Indubbiamente ciò è segno di profonda conoscenza ed attento studio del testo del Professore e può recar solo piacere ad ogni amante di Tolkien. Un punto a favore di Peter Jackson.

Ugualmente ben resa è la successiva "riunione nanesca", con un accento particolarmente attento posto sulle figure quasi caricaturali e macchiettistiche dei nani, ad eccezione di quella di Thorin, le cui regalità e nobiltà sono sottolineate magistralmente dal regista e lo differenziano nettamente dagli altri compagni. In particolare, il rispetto che la sua figura emana risulta palpabile dallo spettatore. Ugualmente piacevole per un qualsiasi amante del libro è la resa della "sparecchiatura" del tavolo della cena, con il passaggio al volo dei piatti da parte dei nani e la conseguente ansia del povero Bilbo, tremendamente disperato in merito alla sorte potenzialmente disastrosa delle sue stoviglie; la cura nella riproduzione di questo frangente, completamente in linea con la descrizione di Tolkien, è encomiabile.
Thorin Scudodiquercia inizia a cantare
Letteralmente magistrale (commovente, è proprio il caso di dirlo) è la scena successiva: il canto dei nani. Il Professore di Oxford lo descrive in questi termini: "un roco canto di nani che sembrava salire dai recessi delle loro antiche case;". Chi scrive ritiene, molto umilmente, che il metodo utilizzato da Jackson e da Howard Shore, autore di una colonna sonora epica e maestosa, per realizzare questo canto sia splendido: la scelta scenografica, la melodia stessa dai toni bassi e profondi come le radici di una montagna, fanno letteralmente accapponare la pelle. Lo spirito del testo prende realmente forma in questo meraviglioso attimo, anelito di storie antiche come le ere del mondo.

Giungiamo ora ad una scena dalla doppia faccia: eccellente dal punto di vista cinematografico ma leggermente meno da quello della fedeltà letteraria. Si tratta del racconto di Balin durante il bivacco, a viaggio già principiato. Viene narrata la vicenda della tentata riconquista di Moria (cronologicamente posta dopo l'arrivo di Smaug ad Erebor) e della battaglia davanti alle porte orientali di Nanosterro. In questa splendida scena possiamo ammirare la strenua lotta tra Thror e Azog l'orco: dopo la decapitazione del re dei nani da parte dello stesso Azog, Thorin si scaglia con violenza contro l'omicida del nonno (Thror è padre di Thráin, padre di Thorin), brandendo l'ascia ed un pezzo di tronco di quercia come scudo (viene così spiegata precisamente l'origine dell'appellativo "Scudodiquercia", in pieno rispetto della stesura tolkeniana) e riuscendo a troncargli l'avambraccio sinistro. In realtà la morte di Thror [secondo l'Appendice B, "Il Calcolo degli anni", in coda a "Il Signore degli Anelli"] risale a nove anni prima della battaglia in questione, nota con il nome di Nanduhirion (anno 2799), ossia nell'anno 2790 della terza era. Inoltre, durante la pugna medesima, Azog viene inseguito e decapitato da Dáin Piediferro, figlio di Náin: "Riuscì ad afferrare Azog prima che varcasse il Cancello e lo uccise. E quella fu considerata una grande prodezza, perchè Dáin per i Nani era appena un adolescente" [cfr. Appendice A, "Annali di Re e Governatori", in coda a "Il Signore degli Anelli"]. La scelta di Jacskon di stravolgere in tal guisa l'opera tolkeniana, "ripescando" la figura di Azog (non necessaria nè utile ai fini dello svolgimento della trama cinematografica) e mescolandola nell'alchimia, può essere decisamente contestabile, anche per un motivo che verrà ricordato più avanti.

I tre troll: Berto, Maso e Guglielmo
La scena dei tre troll è invece resa con grande abilità. I dialoghi sono azzeccati appieno e l'ottusità e l'insita malvagità delle tre creature sono trasposte molto fedelmente. Tuttavia, una unica scelta del regista potrebbe suscitare qualche perplessità: nel film Bilbo, discutendo (impacciatamente e grottescamente) con i tre troll Berto, Maso e Guglielmo su quale fosse il miglior modo per cucinare i malcapitati nani, riesce a guadagnare tempo e a fare in modo che l'alba sorprenda le tre bestie, tramutandole in pietra. In realtà, nel testo, l'ingengno di Tolkien aveva escogitato un espediente più sottile. E' Gandalf stesso che, imitando abilmente le voci dei troll, riesce a farli alterare e litigare l'uno con l'altro fino al momento fatidico: "L'alba vi prenda tutti e sia di pietra per voi!". Nonostante la scena funzioni a meraviglia, non è chiaro il motivo per cui Jackson abbia dovuto modificarla dalla "matrice" originale (decisamente più particolare, come già ricordato). Viene poi riportato molto puntualmente il ritrovamento di Orcrist ("Fendiorchi", spada di Thorin) e Glamdring ("Battinemici", spada di Gandalf), opera degli scomparsi fabbri elfici di Gondolin, antica città tra le montagne delle prime ere del mondo, caduta alla fine della seconda era; il design delle lame è sinuoso ed elegante, "elficamente" regale.

Radagast Il Bruno
Si giunge ora ad una serie di scene assenti nel libro ma molto utili al fine di mostrare allo spettatore che non possedesse una conoscenza approfondita dell'epica tolkeniana l'histoire événementielle che si pone come sfondo agli avvenimenti narrati, conferma ulteriore di una sottile intelligenza registica. Mediante l'abile utilizzo della figura di Radagast il Bruno (forse un po' troppo comica rispetto all'immagine delineata da Tolkien ma egualmente di spessore), mago della natura e amante più di ciò che cresce che di ciò che si crea con mano, il regista narra allo spettatore la rovina del Bosco Atro e l'insediamento di un grande male nella fortezza di Dol Guldur: il Negromante (che altri non è se non Sauron in persona). Radagast infatti "visse un tempo a Rhosgobel, vicino ai confini del Bosco Atro." (cfr il discorso di Gandalf ne "La Compagnia dell'Anello", Libro II, Capitolo II, "Il Consiglio di Elrond"). In verità la reale cronologia degli eventi viene di nuovo lievemente stravolta: la rovina del Bosco Atro trova origine molto prima del viaggio dei tredici nani e Gandalf stesso si reca a Dol Guldur, dove trova Thráin da cui riceve la chiave e la mappa di Erebor, nel 2850, ossia novantun'anni prima della partenza di Thorin e compagni (2941, terza era). Nonostante questa "compressione temporale", l'idea di Jackson di inserire la storia dello Hobbit in un panorama molto più ampio (filosofia da lui stesso espressa, precisata e contestualizzata durante un'intervista), offrendone di volta in volta un pezzetto allo spettatore, funziona perfettamente anche se non rispecchia per nulla nè l'intento originale del Professore nè l'essenza del libro stesso che, come già ricordato, si avvale di una scelta linguistica e lessicale di certo non elevata nonchè di una trama molto semplice e fiabesca, tanto da venir definito da W.H. Auden "la più bella storia per bambini degli ultimi cinquant'anni".

Elrond osserva la mappa
Splendida è la parte successiva, che trova ambientazione presso Forra Spaccata (o Gran Burrone). Dopo una rocambolesca fuga da branchi di famelici lupi sotto il comando di Azog e grazie al diversivo fornito da Radagast (intermezzo partorito dalla mente del regista, non certo da quella di Tolkien), la compagnia si affaccia su Rivendell (nome originale di Gran Burrone), con uno scorcio mozzafiato. In questo frangente viene evidenziato l'astio tra le due stirpi, elfica e nanica (ricordato anche ad inizio pellicola, nel momento in cui il re elfico Thranduil rifiuta di fornire il suo aiuto agli abitanti della Montagna Solitaria, attaccati dal drago); questo sentimento è lievemente esasperato ed inasprito rispetto alla descrizione che ne fa il Professore nel libro. Vi è sì un profondo disprezzo ed una sospettosa diffidenza tra nani ed elfi ma nel film tutto ciò si tramuta addirittura in un odio endemico, decisamente più violento e dirompente di quanto descritto nel testo. In questo frangente Elrond spiega a Thorin il significato delle parole vergate sulla mappa raffigurante Erebor e palesa le rune lunari (intarsi d'Ithildin, visibili solo alla luce appunto della luna). La scena appena citata è realizzata meravigliosamente: uno sperone roccioso sotto una cascata, sulla cui punta è incastonato un unico blocco di vetro cristallino, sul quale viene poggiata la mappa. Nel momento in cui l'astro della notte fa capolino dalle nubi, la sua luce colpisce il vetro e proietta un fascio bianco e lucente perpendicolare al terreno, illuminando di un candore abbagliante tanto i volti dei protagonisti quanto le rune argentate. Questo è uno dei molteplici casi in cui si palesano l'abilità e la maestria di Peter Jackson nel creare scorci incantatevoli, quasi magici, che portano realmente in vita il mistero e la bellezza della Terra di Mezzo immaginata dall'immenso Professore di Oxford.
In modo da non suscitare ulteriore tedio nel già, temo, scombussolato ed annoiato lettore, chi scrive preferisce chiudere qui una prima parte di questo "articolo opinionistico".
Seguirà, ovviamente, una seconda.

(La seconda parte trovasi qui)

giovedì 20 dicembre 2012

COL SUO HOBBIT, TOLKIEN HA TENUTO TESTA ANCHE AI RAZZISTI DEL TERZO REICH - RIFLESSIONE DI EDOARDO RIALTI

John Ronald Reuel Tolkien

A chi scrive par d'uopo riportare anche in questa sede un meraviglioso articolo, firmato da Edoardo Rialti, apparso su "Il Foglio" di qualche giorno fa. Credo che una tale penna sia da ammirare senza remore e possa rappresentare un ottimo insegnamento di giornalismo per ogni lettore. Colui che vi scrive non si ritiene sì abile da offire un affresco nè altrettanto puntuale nè tantomeno migliore di quello dipinto da Rialti stesso e si limita, come sempre, ad un brevissimo commento. Ponga il lettore particolare attenzione alle citate interconnessioni tra "Lo Hobbit" e l'epica norrena e si goda la chiosa finale, firmata da Tolkien stesso; chiosa profonda ed al tempo stesso esilarante, indice della genialità e della immensa cultura del Professore di Oxford, violento schiaffo ad una facies di estrema ignoranza, sempiterno marchio di ogni totalitarismo.
Considerando il grande valore (intrinseco ed estrinseco) dell'articolo in questione e l'età del giornalista, sorge spontanea una risposta ad una ormai inflazionata domanda: davvero i cervelli stanno fuggendo dall'Italia e non c'è possibilità alcuna, per un giovane talentuoso, di emergere? Fortunatamente, no.
(Si ringrazia Daniel Barlow per aver portato detto articolo all'attenzione di chi scrive).
Buona lettura. (L'originale potete trovarlo qui)

14 dicembre 2012 - ore 12:27
Col suo Hobbit, Tolkien ha tenuto testa anche ai razzisti del Terzo Reich

"E’ pericoloso fare previsioni, ma potrebbe rivelarsi un classico”: è con queste parole che l’amico C. S. Lewis concludeva la sua recensione – il 2 ottobre 1937 per il Times Literary Supplement – de “Lo Hobbit” di J. R. R. Tolkien. Sono passati più di settant’anni, e alla prima neozelandese dell’adattamento cinematografico di Peter Jackson, c’erano oltre centomila persone. Una “festa a lungo attesa” – a citare “Il Signore degli anelli” dello stesso Tolkien, che nello scrivere quella che era nata come semplice narrazione della buonanotte per i suoi bambini si trovò per primo esposto e coinvolto in un viaggio narrativo dalle conseguenze inimmaginabili, che vide affiorare nella sua immaginazione un affresco sempre più vasto: “Quella del signor Baggins è iniziata come storia comica fra convenzionali e inconsistenti gnomi usciti dalle fiabe dei fratelli Grimm eppoi è arrivata ai limiti estremi della fiaba – tanto che alla fine perfino Sauron il terribile vi fa
capolino”.

Fu sempre la finezza critica di Lewis a notare come la vicenda del piccolo e comico Hobbit coinvolto nel riscatto del tesoro usurpato dal drago Smaug – il più bel drago letterario che un amante di fiabe abbia mai incontrato, con la sua parlata magnifica e crudele – si facesse pagina dopo pagina sempre più epica e drammatica, tanto che persino il linguaggio si fa sempre più affine a quello delle heimsokn norrene, alle battaglie e al sentenziare nobile e austero delle contese legali nelle saghe antiche come quelle di Njall o Egill – “Vorrei inoltre chiedere quale parte della loro eredità avreste pagato ai nostri consanguinei, se aveste trovato il tesoro incustodito e noi uccisi” – e come, senza mai perdere il suo umoristico contrasto tra la tensione degli eventi e la comica inadeguatezza del suo protagonista, che da buon gentiluomo di campagna inglese si preoccupa spesso di non smarrire il fazzoletto per soffiarsi il naso, “bisogna leggere il libro personalmente
Edoardo Rialti
per scoprire come questa mutazione sia inevitabile e come prenda velocità assieme al viaggio dell’eroe”.

E una contesa aspra come quelle che infiammavano i vichinghi, seppure condotta stavolta in punta di penna anziché di spada, aspettava proprio lo stesso Tolkien, e il suo libro, che attirò l’attenzione degli editori tedeschi Ruetten e Loening. Questi si dissero disponibili a intraprendere la traduzione del libro e ad acquistarne i diritti, cosa che non avrebbe significato poco per un semplice professore universitario dalla famiglia numerosa, che aveva già messo le mani avanti sulla possibilità di sottoporlo agli “studi della Disney (per tutte le opere della quale ho un odio sentito)”. La casa editrice tedesca, secondo le leggi del Reich, chiese a Tolkien un certificato o una auto attestazione di razza arisch, cosa che in effetti il suo cognome lasciava ben sperare. La risposta di Tolkien è un piccolo capolavoro. Alla buona creanza – “Grazie per la vostra lettera” – segue una sistematica distruzione filologica [tenga ben presente il lettore la differenza tra STUDIO FILOLOGICO e PROPAGANDA POLITICA; differenza troppo spesso dimenticata e scavalcata, di questi tempi ndr] delle confuse mitologie di Hitler e compagni: “Temo di non aver capito chiaramente che cosa intendete per arisch. Io non sono di origine ariana, cioè indo-iraniana; per quanto ne so, nessuno dei miei antenati parlava indostano, persiano, gitano o altri dialetti derivati”. Fino alla stoccata finale: “Ma se voi volevate scoprire se sono di origine ebrea, posso solo rispondere che purtroppo tra i miei antenati non ci siano membri di quel popolo così dotato”.

Tolkien certamente amava la cultura tedesca e si diceva fiero delle sue origini, ma, se queste dovranno farsi indistinguibili dalla “completa perniciosità e non scientificità della dottrina della razza”, allora mancherà davvero “poco al giorno in cui un nome germanico non sarà più motivo di orgoglio”. Aveva ragione Thorin il re dei nani quando, agonizzante, fissa negli occhi l’impacciato Hobbit Bilbo, che piange perché l’amico, dopo anni di esilio e di lotte, come Mosè o i monarchi scandinavi, si vede scivolare via ciò per cui aveva tanto lottato, e morendo lo conforta: “In te c’è più di quanto tu sappia, figlio dell’occidente cortese”. Era vero: lo Hobbit non aveva tenuto la testa solo a Smaug il Magnifico o alla gara di indovinelli di Gollum, ma anche al Terzo Reich.

di Edoardo Rialti
© - FOGLIO QUOTIDIANO

sabato 8 dicembre 2012

QUALE DOMANI PER L'ITALIA, SE NE SCORDIAMO IL PASSATO? - RIFLESSIONE DI INDRO MONTANTELLI


Vorrei riportare anche in questa sede un intervento, espresso durante un'intervista, del grande Indro Montanelli riguardo al futuro (e al passato) del nostro grande paese. Ovviamente chi scrive non ha la presunzione nè di avvicinare nè tantomeno di eguagliare la grandezza e la cultura di questo immenso giornalista ma cercherà semplicemente di scrivere ed esporre le sue opinioni nel modo più nitido e corretto possibile.
Indro Montanelli
Sarebbe auspicabile che queste parole venissero ascoltate dai nostri "politici" che altro non fanno se non tentare di riempire ulteriormente le loro già di per sè stracolme bisacce; stiamo buttando all'aria (perdonate questa espressione non esattamente elegante ma diretta dal punto di vista concettuale) secoli e secoli di storia, di arte, di cultura...la NOSTRA storia, la NOSTRA arte e la NOSTRA cultura. Viviamo in un paese che avrebbe da offrire ricchezze (letterarie, storiche, artistiche, gastronomiche e vinicole, solo per citarne alcune) come pochi altri, un paese che ha dato i natali all'Impero Romano, a Cesare, a Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto, a Dante, a Manzoni, a Boccaccio, a Ungaretti, a Montale, a Verdi, a Puccini e a tanti altri, tutti degni di egual reminiscenza.
Tante volte il nostro passato viene bollato con la ridicola (e sinonimo di scarsa intelligenza ed ancor più limitata cultura) etichetta di "roba vecchia ed inutile, la storia è solo un ammasso di date". In questo mondo in cui contano solo i numeri, che siano quelli del saldo sul conto in banca o quelli delle ormai sacre (e meramente sibilline, lasciatemelo dire) previsioni economiche, ci si dimentica dei grandi uomini e dei grandi avvenimenti che stanno alla base di quella che noi oggi chiamiamo "civiltà moderna", una civiltà che non ha avuto origine nel ventesimo secolo ma ha radici ben più antiche, cari detrattori della storia. Come diceva Cicerone, "Historia magistra vitae": non possiamo andare avanti dimenticandoci di ciò che abbiamo alle spalle. La storia stessa ci insegna ciò che siamo stati, ciò che siamo, ciò che dovremmo essere e ciò che non dovremmo essere. Lanciamo un monito affinche il passato venga ricordato, perchè è proprio di quei ricordi che noi viviamo.
 L'intervento completo potete trovarlo qui:

Chi scrive vi invita caldamente ad ascoltarlo in toto: è una lezione da far propria senza riserve se vogliamo rendere migliore questo paese, se non vogliamo accodarci alla coda (perdonate il bisticcio in termini) di giovani che scappano dall'Italia al grido di "in questo paese non si può fare niente." Cerchiamo invece di fare qualcosa, di vivere valorizzando i nostri enormi tesori, di far capire che anche chi lavora in un archivio storico (e credetemi ne abbiamo di meravigliosi, dimenticati da tutti e in via di chiusura per mancanza di fondi) può risollevare le sorti della nostra penisola.
Mi limito solo ad offrire al lettore uno stralcio dell'intervento di cui sopra, relativo alla questione che mi preme
sottolineare:
Ugo Ojetti
"Per l'Italia nessun domani; perchè un paese che ignora il proprio ieri, di cui non sa assolutamente nulla e di cui non si cura di sapere nulla, non può avere un domani. Io mi ricordo una definizione dell'Italia che mi dette [...] un grande giornalista, Ugo Ojetti, il quale mi disse "Ma tu non hai ancora capito che l'Italia è un paese di contempotanei? Senza antenati nè posteri perchè senza memoria". Io avevo venticinque, ventisei anni e la presi come una boutade, una battuta, un paradosso, ma mi sono accorto che aveva assolutamente ragione. Questo paese [...] ha una storia straordinaria ma non la studia, non la sa; un paese assolutamente ignaro di sè stesso."
"Senza antenati nè posteri perchè senza memoria"...quanta verità in una semplicissima perifrasi. Un bambino perchè, da grande, non mette la mano sul fuoco? Perchè ha il ricordo passato di una scottatura e del dolore che ne consegue. La storia ci insegna come affrontare il futuro senza ricadere negli errori del passato e preservando invece ciò che ci ha reso migliori.
Niente nasce dal niente; un edificio ha bisogno delle sue fondamenta, altrimenti cade rovinosamente.
Rammentiamoci delle fondamenta dell'Italia....è un paese troppo bello per lasciarlo crollare.

giovedì 6 dicembre 2012

TWILIGHT SAGA...... ESATTAMENTE, PERCHE'? - PARTE 3


Ave a tutti, belli e brutti (ok basta con queste esilaranti battute di spirito), e benvenuti alla terza parte della sintesi della più grande, interessante, intrigante, profonda, commovente, energizzante e dilagante (?) "saga" degli ultimi anni (sì è vero ultimamente la produzione letteraria lascia un po'......MOLTO......a desiderare). Ecco a voi, siori e siore, Eclipse (eclisse)! Ci saremmo tutti augurati che, con questa ennesima opera, la pattumie....saga in questione si sarebbe "eclissata" anch'essa......putroppo no.
Sempre loro.....i protagonisti del capolavoro (Robert Pattinson
a sinistra e Kristen Stewart a destra)

Torniamo a noi; ci eravamo lasciati (vedi parte 2) nel momento in cui, dopo essere tornati da Volterra, la coppia più bella del mondo (vomito e torno, chiedo venia) torna felicemente unita ed il terzo lupesco incomodo comprende che per ora la nostra Bella è più interessata alla lampada di Artemide con i canini piuttosto che a lui. Già qui mi sorge spontaneo un dubbio: nelle recensioni e nei commenti di questo ineguagliabile capolavoro letterario (Dante e Manzoni mi stanno insidiando e mordendo i calcagni...state buoni non sono serio!) viene quasi sempre utilizzato il termine "per ora". Mi chiedo e mi ri-domando.....ma che razza di storia d'amore è questa? Romeo e Giulietta del ventunesimo secolo? Dove si è mai vista una eroina con l'innamoramento a tempo? "Sì adesso mi piaci tu ma ci sono buone possibilità che tra qualche tempo mi piaccia lui"....cos'è, un contratto? Si porta un bel messaggio ai giovani, già di per sè abbastanza rimbambiti, delle ultime generazioni, non c'è che dire. Bene, fine della paternale; torniamo a noi.
La copertina del "libro"
La vita scorre felicemente ma alcune notizie turbano la tranquillità della cittadina di Forks e dei suoi particolarissimi abitanti: da Seattle giungono inquietanti nuove circa una serie di orrendi omicidi. Tutti, giornali compresi, sospettano sia opera di qualche serial killer fuori di cotenna mentre in realtà la verità è ben diversa: la nostra cara amica red-vampira (che ringraziamo, nonostante non abbia avuto successo, per aver tentato di mordicchiare e sventrare Isabella circa una decina di volte in modo da accorciare la durata di questo aborto letteral-cinematografico) sta "sgagnando" tutti coloro che le capitano a tiro in modo da creare un esercito di simpatici succhiasangue, per otenere controlo ti monto ya!....no in realtà il motivo non è ben chiaro, forse solo per vendicarsi della morte del suo fidanzatino vampiro da trifola (vedi parte 1). Improvvisamente la sorella Sibilla Cumana di Edward ha una visione: la red-vampira Victoria sarebbe passata dopo poco tempo nei boschi che circondano Forks. Ecco dunque scattare l'agguato: tutta la famiglia, cui poi si uniscono anche i simpatici lupululì lupululà (con i quali scoppia quasi una mezza rissa che purtroppo, dato l'obbligo di mantenere alto il tasso di noia in cotali opere, si spegne subitaneamente), si getta all'inseguimento, frustra. La rossa scappa e i nostri amici restano scornati.....o meglio, scaninati. Utilità di questo interludio? Soltanto mostrare nella trasposizione cinematografica il lavoro di grafica computerizzata (fatto peggio che con i piedi): i lupi sembrano dei pupazzoni e la corsa da Pelide Achille (chi o coloro hanno scritto l'Iliade si stanno rivoltando nella tomba) dei vampirelli è terribilmente simile a quella di una sagoma a forma di papera montata su un binario orizzontale.
Ecco che, spostandoci nel parcheggio della scuola, riappare il nostro vecchio amico Giacobbe. Egli è visibilmente incaz.....ALTERATO riguardo alla scaramuccia di cui sopra e aggredisce il bell'Edoardo (con annesso scambio di sguardi terribilmente virili ed esplosione testosteronica, pari a quelli di un granchio Opilio bollito in pentola), accusandolo di non essere stato sincero con la di lui fidanzata, nella fattispecie di non averla informata dei progetti di Victoria. Il nostro eroe si giustifica asserendo di aver solo voluto proteggere Isabella. In effetti questo comportamento potrebbe potenzialmente avere senso: non sarebbe quantomeno carino che un qualsivoglia fidanzato se ne uscisse con una considerazione sul tema: "amore, ci sarebbe un particolarissimo esepio di fauna che altro non vorrebbe se non aprirti come un capretto e cibarsi della tua carne....ma stai tranquilla è tutto sotto controllo!" Anche un genio come la nostra eroina potrebbe avere qualche obiezione da sollevare in proposito.
Raffigurazione scientifica dell'imprinting....o stampante
ululante (creazione di Andrea Minotti)
Dopo questo mascolino scambio di vedute, Bella decide di salire in moto con Giacobbe per "chiarire la situazione" e viene condotta alla casa di ritrovo del lupesco branco, venendo accolta dalla figlia di una vittima della red-vapira con lo stesso calore ed entusiasmo con cui si accoglie un ictus.
La conversazione tra i nostri si sposta su un argomento molto importante ossia l'imprinting (sto cercando in tutti i modi, invano, di scacciare dalla mia mente l'immagine di una stampante ululante). Si tratta in sostanza di una potentissima infatuazione provata da un lupus verso un altro lupus, possibilmente di sesso opposto, che lo porta a non poter fare più a meno della sua controparte (amore e matrimonio? Nooooo, completamente diverso, più originale). Il nostro Jacob lacia MOLTO velatamente intendere di essere ancora attratto da Bella (non l'avremmo mai pensato) ma non rivela chiaramente se abbia avuto o meno l'imprinting, che d'ora in poi chiamerò "stampino", con lei; tuttavia, all'annuncio del desiderio della nostra di voler venire trasformata in vampiressa dopo il diploma, si inalbera e dichiara che avrebbe preferito vederla morta piuttosto che succhiasangue (non è ancora chiaro se i vampiri vengano considerati "morti", "parecchio canuti", "decisamente desueti", "cadaveri ambulanti" o "ultracentenari dall'aspetto incredibilmente florido" ma soprassediamo).
Accade ora qualcosa di sconvolgente: uno dei vampiri novelli (morso dalla rossa di cui sopra), Riley, si reca ad ispezionare la casa di Isabella (annusando con gusto anche il padre). Il naso di Edoardo lo scopre, capendo di trovarsi di fronte a qualcosa di nuovo; i Cullen decidono quindi di cacciare costui, lasciando la nostra sotto la protezione dei lupululì. Scelta interessante: dato che i rapporti sono già di per sè poco tesi, installare un'alleanza tra due parti che non si possono vedere per proteggere il frutto della discordia mi sembra un'idea eccellente.
Una sera Giacobbe decide di portare Bella ad una riunione del "sindacato lupesco unificato", presso la quale viene raccontata l'origine dell'odio ancestrale tra lupi e vampiri (definiti "uomini freddi") e della prima lotta tra le due specie. Viene in particolare sottolineato il coraggio della terza moglie di un lupo, la quale, per distrarre una vampira che, imperversando sul villaggio del branco per vendicare la morte del di lei compagno, stava per fare fuori il marito, si pugnala. Analizziamo il fatto: una vampira che sta sbranando decine di persone (si presume quindi sia abbastanza satolla) ed intanto combatte con una enorme bestiaccia pelosa si fa distrarre per gola da una singola donna che, nel mezzo del parapiglia, si pugnala, facendosi dilaniare a sua volta dal lupo in questione? Qualcuno cortesemente spieghi il senso e la "poesia" di tutto ciò.
Intanto Riley, il primo vampiro trasformato da Victoria, ingrossa le file del suo esercito, suscitando le preoccupazioni dei Cullen.
Il neonato vampiro Riley.....affascinante
Vorrei qui soffermarmi su una considerazione emersa in un dialogo tra i nostri due innamorati. Al dubbio di Bella su come poter giustificare il fatto di non tornare mai più dopo le vacanze (quindi dopo la trasformazione), il nostro risponde con questa meravigliosa perifrasi: "Basta lasciar passare qualche decennio e tutti quelli che conosci saranno morti". Qualcuno si degni di chiarire sinceramente quale mente malata, ridotta e completamente fuorviata possa solo pensare di inserire un commento del genere in una storia di "passione" e "sentimento" (sto ridendo anche io nell'utilizzare sostantivi del genere per questo obbrobrio)....."Edward caro c'è la rata dell'IMU da pagare!" "Ma non preoccuparti tesoro, tanto tra 70 anni l'esattore delle tasse sarà bello che defunto!".
Giacobbe intanto dichiara il suo travolgente amore per la nostra e la bacia (incorrendo nelle ovvie successive ire edoardiane), ricevendo un pugno in faccia dalla stessa Bella che, con questo atto sconsiderato (tentare di prendere a randellate un canide di un quintale), si distorce una mano....sempre più sveglia la ragazza.
Dopo una sfliza di momenti dalla dubbia utilità come le memorie della giovane sorella di Edoardo, il discorso di diploma in cui si incitano i giovani a commettere più errori possibili per capire dove si sbaglia (la scarsissima intelligenza di chi scrive fatica a capire il senso di tanto alta filosofia ma pazienza: è come dire "tirati una martellata sui testicoli così capisci quanto fa male", se non vado errato) e il dono di un ciondolo ad Isabella da parte di Giacobbe, giungiamo al momento saliente: l'esercito di vampiri neonati marcia su Forks per porre fine alla vita della nostra eroina (e di questo, come sempre, li ringraziamo umilmente).
Lupululì lupululà e vampiri decidono quindi di collaborare per sconfiggerli e si sottopongono ad un duro addestramento sotto la supervisione di Casper....no Jasper...il primo è un fantasma...oddio non è che il secondo sia molto diverso ma lasciamo stare. Costui ha una discreta conoscenza dei neonati, avendo vissuto un'esperienza simile a quella di Riley (succube e schiavo dei desideri della red-vampira), se non identica. Ottima mossa quella della scrittrice: innestare un parallelismo per giustificare e contestualizzare le due vicende e ciò che avverrà in seguito; peccato che queste siano totalmente identiche e rendano la scelta decisamente risibile, forzando ulteriormente la già di per se avvincente e coinvolgente storia. Considerando poi che questo racconto scatena un sogno in Bella per mezzo del quale la nostra capisce che dietro a tutto si trova Victoria, corona nel modo peggiore possibile lo svolgimento narrativo, sfociando nel momento di realizzazione (sottolineato dall'abilità recitativa di Krinsten Stewart sempre più degna di attori del calibro di Spencer Tracy) più banale della storia letteraria e lavando via anche quella patina di ignoto e di suspance che poteva creare quantomeno un vaghissimo ed estremamente effimero interesse per la geniale trama (anche se, come già scritto, definire questo mancato ammasso di carta da camino letteratura è una bestemmia.......oltre che cagione di dolorosissimi mal di stomaco).
La noia, nonostante la prensenza di alcune scene d'azione in cui vediamo solamente saltellare qualche vampiro e ringhiare qualche bestiaccia pelosa, raggiunge livelli inimmaginabili. Non si può nemmeno ricorrere a qualche spiritosa facezia o a qualche battuta.....tutto è talmente ridicolo ed inutile da non generare altra sensazione che la totale impotenza (sessuale beninteso).
Torniamo alla storia. Prima della battaglia Edoardo decide di nascondere Isabella, nonostante costei sia contraria, sotto la protezione del nostro amico Giacobbe in modo da nascondere il di lei odore. Il nostro lupesco amico cerca in tutti i modi di portare la nostra dalla sua parte, asserendo che si possano amare più persone alla volta e facendo quindi confusione tra fidanzata fedele e prostituta da tangenziale.
Inserito in modo totalmente pertinente, troviamo ora un interessante e terribilmente educativo dialogo tra Bella ed il padre sul tema "matrimonio e verginità".....splendido! Dato che sono già poche le ragazzine quattordicenni che elargiscono allegramente la propria virtù come se avesse una data di scadenza a brevissimo termine o la utilizzano con la stessa frequenza di un parchimetro milanese e i ragazzini con idee quantomeno distorte sul sesso (basti leggere le domande inviate alle riviste e simili), è proprio il caso di "spiattellare" l'argomento in faccia al lettore in modo tanto immaturo ed inadatto!
Per giunta la prima azione di Bella qual'è? Cercare di nuovo di, come direbbe il buon Mike, "cadere sull'uccello" (perdonate il volgare doppio-senso) del bell'Edoardo, nonostante questi, per le ragioni già spiegate, non voglia farlo prima del matrimonio, di cui Bella accetta la proposta.
La red-vampira Victoria, in un momento in cui dilagano la sua
straripante femminilità e l'innata simpatia
Finalmente principia la battaglia e la nostra eroina viene nascosta in cima ad una montagna sotto la protezione di lupo e vampiro (lupo che, per salvarla dall'ipotermia, la abbraccia e cerca ancora di impedire il matrimonio; in questo caso con un dialogo sul tema amore, fedeltà, odio, fuga, interesse, insomma un'accozzaglia di concetti slegati, interessante come una scheggia nella pianta del piede). Inoltre nel momento in cui il nostro amico Jacobbe scopre dell'imminente matrimonio, vuole andarsene ma viene dissuaso dalla stessa Isabella la quale, per trattenerlo, gli chiede di baciarla.....estremamente libertina la protagonista, in linea con i "valori" e le idee del ventunesimo secolo, gaudete!
Dopo una dura lotta (in cui Bella, per distrarre Victoria ed il suo amichetto, si squarcia un braccio ESATTAMENTE nello stesso modo della moglie del lupo nella storia indiana di cui sopra: che originalità continue ed interessanti troviamo in questa opera... pare la fiera del riciclaggio!) Edoardo riesce a decollare e fare flambè la red vampira (il cui intento, lo capiamo solo ora, è effettivamente quello di vendicare il suo bello) e il nostro Jacob viene ferito.
Dopo un interessantissimo e tremendamente necessario dialogo tra la famiglia vampirella (che tenta frustra di salvare una neonata, non si sa bene perchè) e i Volturi, la nostra va a trovare Giacobbe e confessa il suo amore per lui, pur ammettendo di preferire il bel luccicoso (ho terminato i commenti al riguardo e li lascio a voi, lo squallore dilaga sempre più).
Nell'ultima toccante (nel senso che urta violentemente le capacità fisiologiche, sessuali e mentali dello spettatore) scena i due piccioncini decidono al fine di sposarsi. Purtroppo la parola "fine" non può ancora essere scritta: manca ancora una parte (un "libro" o due "film") di questa idiozia.
Chiedo umilmente venia al lettore di essere stato troppo lungo o troppo poco faceto me certe cretinagg.....sfaccettature andavano analizzate in modo semi-serio, per poter evidenziare quanto effettivamente siano demenziali, irritanti, idiote ed inutili.
A presto (purtroppo) con la parte quattro.

Ringrazio di cuore il mio carissimo amico, un fratello per me, Andrea Minotti, per la sua meravigliosa opera de "La Stampante Ululante".

mercoledì 5 dicembre 2012

ASPETTANDO "LO HOBBIT - UN VIAGGIO INASPETTATO"


« In te c’è più di quanto tu non sappia, figlio dell’Occidente cortese. Coraggio e saggezza, in giusta misura mischiati. Se un maggior numero di noi stimasse cibo, allegria e canzoni al di sopra dei tesori d’oro, questo sarebbe un mondo più lieto. » (Thorin Scudodiquercia a Bilbo Baggins in "Lo Hobbit")

E' ormai prossima l'uscita nelle sale del film "Lo Hobbit - Un viaggio inaspettato", primo capitolo di una nuova trilogia diretta da Peter Jackson (regista de "Il Signore Degli Anelli"), basata sul libro di John Ronald Reuel Tolkien "Lo Hobbit o la riconquista del tesoro" ("The Hobbit or There and Back Again").
Manifesto pubblicitario del film

La storia si pone esattamente sessant'anni prima delle vicende narrate nella trilogia de "Il Signore degli Anelli" (l'inizio del viaggio di Bilbo risale all'anno 2941 della Terza Era e la sua festa di addio, incipit de "La Compagnia dell'Anello", all'anno 3001). Onde evitare fastidiose anticipazioni a chi non avesse letto il libro (disgraziato! Vai subito a leggerlo!), chi scrive si limiterà ad offrirvi una sintesi molto essenziale: la storia narra il viaggio di Bilbo con la compagnia dei Tredici Nani (capitanata da Thorin II Scudodiquercia, figlio di Thráin II) e del ritrovamento del "Flagello di Isildur", per usare la definizione degli uomini di Gondor.
Non ho nè l'intenzione nè la presunzione di stendere una critica (nel senso letterale del termine) del testo e mi limiterò solamente ad offrirvi, come sempre, qualche opinione personale.
Nelle prime recensioni alla pellicola ho notato una frase spesso ricorrente: "Non è il Signore degli Anelli.".....ma va?! Chissà perchè non l'avrei mai detto! Ovviamente è qualcosa di diverso, anche perchè il libro stesso è profondamente differente dalla trilogia che ha reso famoso il Professor Tolkien. Egli, in una calda giornata estiva, scrisse su un foglio: «In un buco nel terreno viveva uno hobbit». Questo fu l'incipit che lo portò poi a produrre nel corso degli anni la più grande saga fantastica della letteratura. "Lo Hobbit" inizialmente venne definito "un bel libro per bambini" ma fin da subito fu evidente la presenza di un universo più vasto sopito dietro le pagine di questo testo, pronto per venire portato alla luce dalla geniale mente dell'autore.
Se ne confrontate la lingua e il lessico con quella de "Il Signore degli Anelli", vi accorgerete che è molto più semplice, molto meno ricercata dal punto di vista grammaticale e appunto lessicale. Nei racconti contenuti ne "Il Silmarillion" poi questa discrasia stilistica è ancora più evidente, tanto che questa raccolta potrebbe molto facilmente, e a ragion veduta, venire definita alta prosa epica.
Il tono ne "Lo Hobbit" non è quello di un vate, di un poeta o  di un menestrello che si appresta a narrare, con alti verbi, una storia epica ma piuttosto quello di un padre che, seduto di fianco al letto del figlio, gli racconta una fiaba. Tolkien vuole quasi giocare con il lettore, prenderlo per mano e chiacchierare con lui come si potrebbe fare al pub davanti ad una birra; ne "Il Silmarillion" e ne "Il Signore degli Anelli" questo atteggiamento scompare.
Altra critica lanciata a Peter Jacskon è stata quella di aver deciso di girare tre film per fini puramente commerciali. Non me la sento di negare la veridicità di questa affermazione (anche a mio modesto parere tre pellicole per un libro come questo sono un po' troppe e mi chiedo come farà a riempirle e renderle avvincenti e dense di avvenimenti) ed è evidente che, sfruttando una saga come questa, a monte ci sia la speranza di intascare quanto più possibile ma vorrei sottolineare un semplice dato di fatto: il "chiodo fisso" di Jackson, durante le riprese de "Il Signore degli Anelli", è sempre stato quello di restare fedele al libro del Professore, senza inserire dettagli inventati ma attendendosi scrupolosamente a quello che ci ha lasciato. Personalmente mi sembra che questa "filosofia" sia stata rispettata e che l'obiettivo sia stato centrato appieno.
Evangeline Lilly
A ciò si lega un'altra notizia che ha suscitato scalpore tra il pubblico: l'annuncio della presenza nella trasposizione cinematografica dell'Elfa Tauriel (interpretata dalla deliziosa Evangeline Lilly).
Molti si sono scagliati contro questa decisione al grido di "Non c'entra niente con la saga tolkeniana".....falso. Non si può dire che questa figura sia legata a "Lo Hobbit" (nel libro infatti non è presente; come però non sono presenti nemmeno Legolas o Galadriel, che invece appariranno nel film) ma asserire che sia un personaggio completamente inventato e partorito dalla mente del regista non corrisponde assolutamente a verità. Basti leggere le appendici a "Il Signore degli Anelli" e a "Il Silmarillion", o i volumi "The History of Middle Earth": la troverete citata e descritta più volte.
Anche chi scrive non è scevro da dubbi su come abbia fatto Peter Jacskon a miscelare in modo coerente (seguendo anche la "filosofia" di cui sopra) tutti questi elementi e creare un'alchimia equilibrata. Tuttavia, pensando che la grande mente di questo regista è riuscita a trasporre in film, in modo commovente e meraviglioso, la più grande trilogia fantasy della storia, non credo ci sia da preoccuparsi granchè.
L'uscita nelle sale è ormai prossima, l'attesa è quasi finita.......il nuovo viaggio nella Terra di Mezzo sta per cominciare.